Immaginario di un’isola
Ci immergiamo nel cuore del Mediterraneo per cogliere gli ultimi attimi dell’estate che ci attendono, prima che l’autunno prenda piede e si presenti con camini accesi e succulente pietanze.
Antiche leggende narrano della Sardegna come un’isola megalitica, una terra quasi continentale, lussureggiante e prospera.
Uno dei miti più discussi di tutti i tempi, l’Atlantide narrato da Platone, racconta di un’isola i cui abitanti erano costruttori di torri, circondata da foreste, acque e minerali, ma che secondo l’autore greco, venne sommersa da un violento cataclisma con tempeste sismiche e maremoti, distruggendo porti, torri e ponendo fine alla civiltà stessa.
Le torri, probabilmente riferibili alla civiltà nuragica che diede origine alle costruzioni chiamate nuraghi, erano antiche fortezze in pietra costruite a secco di varie dimensioni. Oggi ne sono stati rinvenuti, riscoperti e censiti oltre 8000 in tutta l’isola.
“Ichnusa” (oggi la famosa birra prodotta localmente) deriva dal greco e significa “impronta”: i marinai greci chiamarono l’isola così perché la sua forma ricordava quella di un piede. Si narra che Dio, posandovi sopra il suo piede, abbia salvato un lembo di terra emergente, conferendogli la forma attuale, che ricorda effettivamente un’impronta.
Infine, proveniente dalla Mesopotamia, i rapporti cessarono improvvisamente a causa di calamità naturali già citate da Platone per l’Atlantide. Troviamo così l’unico ziggurat del Mediterraneo, oggi noto come Monte d’Accoddi, con muri in pietra e un altare di epoca prenuragica a forma tronco-piramidale, dedicato al culto della fertilità della terra e della rigenerazione.
Un’isola speciale con un panorama ricco di strutture, natura e bagnato dal mare. È quasi certo che in antichità prosperasse la vitis vinifera, le cui prime tracce risalgono all’epoca nuragica. Solo dopo l’arrivo dei Fenici si sviluppò un’importante relazione commerciale con il resto del Mediterraneo.
Nuraghe….Nuragus e molti altri ignoti.
Autentiche scoperte emergono nei complessi Nuraghe di Arrabiu, situati a sud dell’isola e noti come il gigante rosso, a causa dei licheni rossi che lo ricoprono. Questo sito custodisce la pietra del territorio con ben 5 torri, cortili interni, vani cupolati, accessi di varie dimensioni, scale, corridoi e veri e propri laboratori enologici con vasche molto ampie, oltre al materiale per la pigiatura dell’uva.
Diverse sono le ipotesi sui vitigni autoctoni sardi, ma tra queste prime testimonianze, quella del Nuragus (Nuragus/Nuraghe/civiltà Nuragica) risalta. Tuttavia, dati recenti dagli ampelografi suggeriscono che questo vitigno potrebbe essere stato importato dai Fenici durante le guerre Puniche, quando fondarono la città di Nora. In breve, origini antiche correlate a civiltà altrettanto antiche, e il vitigno Nuragus, a bacca bianca, si è sviluppato principalmente nella zona di Cagliari e Oristano. Con origini così remote da farlo rientrare tra i vitigni più antichi introdotti in Sardegna. L’uva è generosa, rustica e si adatta facilmente a vari terreni, con spesso note agrumate, floreali e di mela verde, tipiche di un vino bianco piacevole e fresco, arricchito da sentori salini grazie al terreno o alla vicinanza del mare: una combinazione di elementi terrestri e marini che lo rende veramente unico.
Tra i vitigni noti, come Cannonau (garnacha/grenache) e Carignano a bac ca rossa, Vermentino e Vernaccia a bacca bianca, (che spaziano dal nord al sud, dalla Gallura ad Oristano, producendo vini corposi, espressivi, con colori intensi e profumi mediterranei), vogliamo porre l’attenzione su quelli meno noti, quelli nascosti in questa terra. Come il Nasco a bacca bianca, un ecotipo o varietà che è emerso in loco e si è adattato nel tempo all’ambiente isolano. Si dice che il nome derivi da “Nascu”, una trasformazione linguistica del termine latino “muscus”, richiamando il caratteristico aroma di muschio. Questo vitigno presenta colori molto intensi e ampi profumi di macchia mediterranea, tanto da classificarlo tra i vitigni aromatici, caratterizzato da morbidezza e vellutatezza.
Tra i vitigni rossi nascosti, riscoperti e poi vinificati in purezza, il Bovale sardo ne è un esempio. Un rosso intenso e scuro, con aromi che evocano piccoli frutti a bacca scura e frutta rossa matura, accompagnati da erbe aromatiche tipiche della macchia mediterranea. Caldo e ricco, di grande struttura e ampiezza, con una buona trama tannica e un’acidità moderata. La sua buona struttura e succulenza suggeriscono abbinamenti con piatti intensi come brasati, stracotti e carni in umido con sughi a lunga cottura.
Vitigni meno noti ma di spiccata personalità includono la Monica bianca, con sentori maturi e tropicali, polpa gialla e fiori bianchi.
Infine, tra i vitigni nascosti c’è la Caricagiola, una varietà a bacca rossa che si sviluppa nella zona settentrionale dei colli di Limbara IGT, vicino a Sassari. Questa specie antica e autoctona è ancora coltivata a piede franco (senza portainnesto) grazie ai terreni sabbiosi. È un vitigno generoso e nobile, con profumi di ginepro e lentisco, e una notevole intensità di colore e struttura.
Degna di menzione è la Vernaccia, il cui nome deriva da “vernacula”, indicante “uva del luogo”. Questo vitigno a bacca bianca ha ottenuto la DOC nel 1971, diventando così il primo vitigno riconosciuto in Sardegna. La Vernaccia presenta sfumature ambrate e sensazioni che evocano il Madeira, con note di fiori di mandorlo, frutta secca e miele di castagno. Le maturazioni ossidative avvengono in botti di rovere o castagno, simili alla produzione di sherry.
In questa terra di vini, l’alto grado alcolico e la struttura sono garantiti dal sole, che contribuisce a far maturare le uve dalla buccia spessa, ottenendo colori intensi e profondi. L’influenza marina, oltre a contribuire a terreni versatili e sabbiosi, spesso conferisce sapidità e profumi unici di macchia mediterranea.
Sapori Leggendari
La cucina autentica della Sardegna si basa principalmente su ricette di terra, in cui pastorizia e agricoltura sono fondamentali. Nel tempo, il turismo ha introdotto elementi marini, pur restando fedele a ingredienti locali. Il maiale, noto come Porceddu, è un piatto tipico, cotto a lungo, ricco e corposo, che richiede un vino robusto come la Caricagiola o un buon Cannonau. Per un abbinamento più morbido, un Carignano del Sulcis è ideale: con sentori di mora, mirtilli, liquirizia, mirto e macchia mediterranea è infatti meno corposo ma poco tannico.
L’agnello sardo, cotto al forno, in umido, fritto o arrosto, è un altro piatto tipico di terra, spesso abbinato al Bovale sardo o al Cannonau per bilanciare il sapore intenso dell’agnello.
Sulla costa della Gallura, un pranzo di rispetto inizia con la fregola con cocciula, gnocchetti di semola con zafferano e arselle, ben accompagnati dal Vermentino locale, equilibrando aromi e intensità olfattiva.
Segue una zuppa gallurese con consistenza simile alle lasagne, strati di pane conditi con formaggio e brodo di pecora, cotto fino a diventare croccante, con abbinamento al vino rosso Cannonau.
Tra i primi di mare, gli Spaghetti bottarga e limone, con aromi agrumati e note umami della bottarga, si bilanciano con un Gallura superiore Vermentino o un Nasco bianco, entrambi aromatici.
Tra i primi piatti di terra spiccano i Malloreddus alla campidanese, con pomodoro, abbondante formaggio pecorino e salsiccia, accompagnati da un giovane e poco invecchiato Cannonau.
Anche i Culurgiones, ravioli sardi, preparati con impasto di semola, uova, olio d’oliva e ripieno di formaggio fresco o ricotta, bietole o spinaci, sono conditi con salsa di pomodoro fresco e formaggio pecorino grattugiato.
Tra i dolci sardi più famosi, le Seadas, a base di semola, formaggio e miele, richiedono un vino dolce di struttura, ottenuto da uve appassite.
Nonostante la tradizione sarda sia incentrata sulla terra più che sul mare, l’apertura al turismo e alla cucina marina sta gradualmente modificando questa dinamica.