Essere uno dei Paesi con la storia più lunga del mondo aiuta nell’esercizio di accumulare tradizioni in tutti i campi. Ma se siete su questa pagina, ci sono ottime possibilità che siate interessati alle tradizioni legate al mondo del vino, giusto? Eccovi serviti allora la bella tradizione di produrre un vino amato da generazioni e, ancora oggi, sempre presente nelle migliori occasioni.
Non vi sto parlando di qualche blasonata bollicina, per antonomasia vino da celebrazione, ma di un vino da fine pasto, un vino da dessert o da meditazione, se volete.
La produzione del Vin Santo toscano perde le sue origini tra il 1300 e il 1400 e, come ogni buona tradizione plurisecolare, si circonda di leggende e ipotesi varie sul nome. L’appellativo “santo” fu forse introdotto nel 1348, anno in cui si iniziò a diffondere la peste, per il fatto di essere utilizzato come rimedio per alleviare le sofferenze dei malati, o forse risale al 1439 quando fu servito come vino da dessert durante un banchetto in occasione di un concilio ecumenico a Firenze risultando molto simile ad un vino prodotto sull’isola di Xanto (Santorini, Grecia), o più semplicemente perché utilizzato inizialmente come vino da messa, oppure ancora…
Qualunque sia l’origine del nome, il Vin Santo ha avuto la forza di attraversare i secoli mantenendo pressoché inalterata la sua produzione, fatta di un’attenta selezione delle uve, cura delle stesse durante il periodo dell’appassimento e pazienza, a volte tanta pazienza, nell’attesa che il vino completi la fermentazione e l’invecchiamento.
Il Vin Santo è un vino ottenuto da uve “passite” che, dopo la vendemmia, vengono disposte in un locale chiuso ma ben ventilato perché appassiscano positivamente, concentrando zuccheri e aromi contenuti all’interno, senza però incorrere nella formazione di muffe che ne rovinerebbero il gusto e la qualità. Sono necessari almeno 3 – 6 mesi affinché il processo di appassimento sia completo, a volte anche di più in base soprattutto alle temperature (questi locali sono tradizionalmente collocati nel sottotetto e la temperatura non è artificialmente controllata) e, finalmente, può iniziare la fermentazione alcolica, che trasformerà il nostro succo (mosto, tecnicamente) in vino.
Utilizzando contenitori di legno piuttosto piccoli (tipicamente tra i 50 e i 100 litri) chiamati “caratelli”, il mosto inizia una lenta fermentazione, lenta a causa dell’alto contenuto zuccherino e delle basse temperature in inverno, sviluppando una serie di aromi e profumi sempre più complessi dovuti molto anche alla frazione di botte lasciata scolma – quindi con presenza di aria – che compie un’azione di lenta ossidazione e trasformazione del vino. I caratelli, spesso di legni oggi ormai inusuali quali castagno, ciliegio, acacia, solitamente molto molto vecchi, sono poi tipicamente sigillati con del cemento per tutto il periodo di fermentazione e maturazione del vino.
In funzione delle scelte del produttore, ma anche dell’andamento del lungo processo di maturazione, il Vin Santo finale potrà presentarsi in versione secca, se la fermentazione avrà consumato tutti gli zuccheri presenti, oppure con un residuo zuccherino tale da renderli dolci o semi-dolci al palato, in caso di fermentazione non conclusa totalmente.
Il disciplinare di produzione del Vin Santo prevede la possibilità di utilizzare ben oltre 80 differenti vitigni, ma nella pratica i veri protagonisti sono il Trebbiano Toscano e la Malvasia Bianca Lunga del Chianti, che si trasformano in un tripudio aromatico fatto di frutta gialla come albicocche e pesche essiccate, agrumi canditi e note di miele, regalando al palato un gusto molto persistente, morbido e avvolgente, perfettamente bilanciato tra dolcezza e acidità.
Molte denominazioni di origine toscane prevedono la versione “Vin Santo”, quasi sempre bianchi (alla vista, in realtà, con un colore che varia tra il dorato intenso e l’ambrato) ma anche nella più rara versione rossa denominata “Occhio di Pernice” quando il vitigno prevalente è il Sangiovese.
La scelta è ampia, le varianti nel bicchiere tantissime. Che state aspettando? Fornitevi di cantucci toscani, da affondare decisamente nel bicchiere e assaporare questo classico abbinamento. Abbiamo iniziato dicendo che questo è un vino per le celebrazioni? Beh, se solitamente si acquista il vino in conseguenza di qualcosa da celebrare, perché non cambiare le regole e trovare una scusa per celebrare una bottiglia invece?
Roberto Lo Russo
Formazione Sommelier Degustibuss Milano