Connubio di culture antiche e moderne
Il sapiente Giappone affonda le sue radici in una cultura molto lontana da noi occidentali, una cultura legata al dettaglio di ogni singolo elemento che compone un gesto, un luogo o un piatto. In questo paese convivono tradizioni molto antiche che, nel tempo, si sono mischiate alla cultura contemporanea, senza perderne pezzi di significato, anzi, mantenendo il rito ancestrale e adattandolo all’oggi.
Lo stile di vita, lento e rispettoso di ogni singolo gesto, si basa su una cultura e una religione che affondano radici molto antiche, risalenti al 1000 a.C. Lo Shintoismo è la religione maggiormente praticata in Giappone e fa comprendere lo stretto legame di questo popolo con la natura. Può essere considerata una forma molto organizzata di animismo (cosa che rispecchia in pieno il popolo giapponese), ma la presenza di una mitologia definita la rende più una religione politeista con tratti sciamanici. Lo Shintoismo è piuttosto una raccolta di rituali e metodi, intesi a mediare il rapporto tra gli esseri umani e i kami, ovvero divinità, spiriti naturali o spiriti guardiani di un luogo, di uno specifico oggetto o di un evento naturale.
Come il Buddhismo, anche lo Shintoismo pone enfasi sul trovare l’armonia in questo mondo, piuttosto che prepararsi a un’esistenza ultraterrena, come spesso accade nelle religioni monoteiste.
Vivere una vita semplice e in armonia con la natura e con le persone: questo è lo stile di vita che la cultura giapponese vuole coltivare fin dai tempi più antichi. Oggi, tale filosofia si amalgama perfettamente con una cultura moderna e all’avanguardia, riprendendo inoltre dal Buddhismo l’arte della semplicità e del minimalismo, che si riflette nella vita quotidiana, nei gesti e nel meticoloso modo di definire i dettagli nella cultura del cibo e delle bevande nazionali.
Rituali mai passati di moda, strettamente legati alla cultura gastronomica e dell’ospitalità, si mantengono vivi anche dopo l’occidentalizzazione: uno è l’arte dell’ospitalità, un’antica tradizione chiamata Omotenashi, in cui ci si prende cura degli ospiti con tutto il cuore, dedicando attenzioni e curando i dettagli in modo impeccabile; l’altro è l’arte della cura dei fiori nei luoghi di accoglienza: iniziata con la sistemazione degli altari da parte dei sacerdoti, che curavano e disponevano i fiori in modo artistico e meticoloso. Questo rito, chiamato Ikebana, prevede una disposizione accurata dei fiori, secondo un calcolo preciso e un profondo senso artistico, con l’obiettivo di creare armonia tra natura e spirito. Gli Ikebono, nell’antichità, erano proprio coloro che si occupavano di questa nobile arte.
Bevande e cerimonie: dalle radici ai giorni nostri
Famoso in tutto il mondo, il vero rituale qui è quello del tè: una cerimonia che va ben oltre il semplice consumo della bevanda, in cui si prepara e si beve il tè matcha in modo cerimoniale utilizzando utensili tradizionali e seguendo codici comportamentali precisi.
Un’esperienza della tradizione locale che ha lo scopo di creare un legame tra il padrone di casa e l’ospite e ottenere un momento di pace interiore nella frenetica vita quotidiana, praticando silenzio, rispetto e raggiungendo consapevolezza delle cose della natura che ci circonda, oltre a una purificazione simbolica del corpo e della mente.
Tra le antiche bevande alcoliche, il sake, fermentato di riso dalle mille sfaccettature e possibilità di abbinamenti creativi con la cucina locale, è la bevanda alcolica per eccellenza. Ottenuto dalla fermentazione di riso, acqua e koji (un fungo che trasforma l’amido in zuccheri), il sake viene prodotto in quasi tutte le regioni del Giappone da oltre mille anni.
Si distingue in diverse tipologie in base al grado di lucidatura dei chicchi di riso, e può essere bevuto a tutto pasto, con una gradazione alcolica simile a quella del vino, solitamente variabile tra i 12° e i 18°, a seconda della tipologia. Può essere servito freddo, caldo o a temperatura ambiente.
Ma perché i chicchi vengono “lucidati” o “sbiancati”? I chicchi vengono inseriti in una macchina apposita e lavorati fino a ottenere la percentuale di chicco rimanente desiderata (in giapponese Seimaibuai). Più il chicco è sbiancato, più i lieviti riescono a raggiungere la parte centrale, dando vita a sake eleganti e molto aromatici, chiamati Ginjoshu e Daiginjoshu.
Il sake viene utilizzato anche nelle occasioni speciali per esaltare i piatti della tradizione, soprattutto quelli più ricchi come stufati, ramen e bistecche. È la bevanda alcolica più antica del Giappone, spesso associata a cerimonie e riti tradizionali.
Altre bevande tipiche ottenute da fermentazioni e distillazioni antiche sono lo shochu, un distillato di cereali, patate dolci o altri ingredienti, e l’umeshu, un liquore al miele di albicocche, prodotto con ume (albicocche in miniatura), sake e zucchero, dolce, fruttato e molto popolare.
Oggi i distillati giapponesi famosi in tutto il mondo sono soprattutto whisky e gin, con marchi che hanno spopolato nella mixology moderna. I whisky giapponesi, in particolare, sono ormai rinomati a livello mondiale per l’eleganza, la complessità olfattiva e soprattutto la morbidezza che li distingue dai whisky torbati, secchi e decisi della tradizione scozzese.
Infine, il vino: una storia relativamente recente, iniziata circa 140 anni fa con la fondazione della prima azienda vinicola giapponese, nel 1870, da parte di due giovani della prefettura di Yamanashi. In principio, l’uva veniva coltivata principalmente come uva da tavola.
Il Giappone vanta una varietà di territori che permettono una diversificazione della coltivazione della vite: valli, montagne, colline, zone costiere, precipitazioni abbondanti, umidità, ma anche escursioni termiche e montagne che favoriscono acidità croccanti nei vini.
Oggi il vino viene prodotto in tutto il paese, con principali aree vitivinicole a Yamanashi, Hokkaido, Nagano e Yamagata. Le varietà autoctone principali sono la bacca bianca Koshu e la bacca rossa Muscat Bailey A (un incrocio tra Vitis labrusca e Vitis vinifera).
La Koshu è caratterizzata da aromi agrumati come pompelmo e limone, con una leggera acidità e una gradazione alcolica relativamente bassa, perfetta per l’aperitivo o in abbinamento alla cucina locale. La Muscat Bailey A, invece, offre sapori e aromi che ricordano le ciliegie mature e i frutti di bosco, facilmente abbinabili a zuppe piccanti come alcuni tipi di ramen.
La Vitis vinifera è entrata in uso più diffuso dopo gli anni ’70, con l’introduzione di varietà come Merlot, Chardonnay, Cabernet Sauvignon, Syrah e Pinot Nero. La varietà Koshu, considerata oggi autoctona, era stata in realtà introdotta in Giappone attraverso la Cina lungo la Via della Seta tra il VI e VII secolo, contemporaneamente all’influenza del Buddhismo. Questa varietà si è adattata perfettamente alla topografia giapponese, diventando il vitigno più utilizzato nella produzione di vino locale.
Il consumo interno di vino, sebbene ancora contenuto, è in costante crescita, mentre la produzione ha visto un notevole incremento dal 2014 a oggi, attirando l’interesse dei mercati internazionali.
Pur non essendo ancora una potenza vinicola globale, il Giappone, fedele alla sua ricerca di perfezione e armonia, promette di regalarci nel futuro grandi sorprese anche nel mondo del vino.
Forme pure, estetiche e superiori di creare e servire il cibo
Al contrario degli Stati Uniti del precedente elaborato, dove ci poteva risultare difficile pensare a una cultura del cibo ricercata e pensata, qui la cultura culinaria risale non solo a tempi davvero antichi, ma vuole trasmettere tutta quella perfezione e armonia anche nei piatti e nelle composizioni di cibi vari, quasi come se fossero quadri. Tutti gli elementi citati in precedenza come fondamenta dello stile di vita giapponese si ritrovano nel cibo, come vere e proprie opere d’arte curate nei minimi dettagli. L’autentica “istituzione” giapponese, con rituali e significati particolari, si chiama Bento: la tradizione ne riconosce l’esistenza a partire almeno dal XII secolo, quando il riso essiccato veniva preparato per essere consumato fuori casa da lavoratori come pescatori e contadini. Il suo uso si diffuse presto anche tra l’alta società. Il Bento è ciò che noi occidentali comunemente chiamiamo “pranzo al sacco” o “cestino per il pranzo”, ma in Giappone rappresenta molto di più: significa letteralmente “cosa utile”, “comoda” e si riferisce sia al contenitore sia al contenuto.
Non è un pasto messo insieme alla rinfusa per arrangiare una pausa pranzo veloce, ma ha una sua valenza e dignità. La sua preparazione è un vero e proprio rituale, il cui risultato può essere una piccola opera d’arte. Ogni dettaglio viene maniacalmente curato: dalla preparazione del pasto al suo confezionamento, dalla scelta del Bento all’involto di stoffa chiamato Furoshiki, che viene accuratamente piegato per proteggere il cibo dal freddo e donare un’estetica gradevole al tutto. L’ingrediente principe di questa preparazione è spesso il riso, che può assumere la forma di un Onigiri, la famosa polpetta triangolare ripiena di tonno o salmone, affiancato ad altre preparazioni locali tipiche come l’Okazu (il contorno per accompagnare il riso), il pollo fritto o una porzione di salmone, e il Tamagoyaki, l’omelette tipica giapponese che compone la “bento box”. Infine, per concludere in dolcezza, un bel Dorayaki, una sorta di pancake dolce locale.
Se non fosse dedicato al pranzo, potremmo pensare a un abbinamento con un vino bianco fresco e agrumato Koshu locale, oppure a una fresca birra giapponese.
Addentrandoci nella cucina locale, dopo il rito del Bento, il perfetto pasto tanto nella preparazione quanto nel consumo, ci si focalizza su elementi come il pesce, utilizzato per sushi e sashimi, ma anche spezie, verdure e legumi che costituiscono la base della cucina in generale. Si fa inoltre largo uso di pietanze fritte in diversi modi (la Tempura è solo uno di essi), la cui pesantezza viene bilanciata dall’abbondanza di verdure.
I cibi vengono consumati senza un ordine prestabilito e molti piatti favoriscono una naturale convivialità, con pietanze diverse condivise al centro della tavola.
Poca è la carne consumata, ma quella più rinomata è la carne Wagyu, il celebre manzo giapponese. Molti conoscono il manzo Kobe, la sua variante più pregiata e famosa, ma la Wagyu è molto diffusa anche nei ristoranti locali. Viene cucinata alla griglia, alla piastra o marinata in modi differenti tra agrumi e spezie, e viene abbinata a diversi tipi di sakè oppure a un vino rosso locale come il Muscat Bailey, che con le sue dolci note fruttate aiuta a smorzare eventuali spezie o ad accompagnare la grassezza della carne.
Lo Yakisoba è un piatto molto popolare, composto da soba (pasta a base di grano saraceno) saltata in padella con verdure, insaporita da salse e spezie locali e completata da scaglie di pesce essiccato. È un classico sia dello street food sia della ristorazione, una prelibatezza da abbinare a un buon sakè. Da non confondere con gli squisiti spiedini di pollo Yakitori, conditi con diverse salse tipicamente agrodolci e decorati con cipollotti freschi.
Sempre parlando di carne, il Katsudon è un piatto molto tipico: maiale impanato e fritto in modo gustoso e leggero, tagliato a striscioline e servito su una base di riso. Gli ingredienti possono variare a seconda della zona, ma il godimento è sempre assicurato. Tornando al pesce, l’anguilla viene chiamata Unadon: marinata e cotta alla griglia, viene servita su riso o tagliolini in brodo. Ha un sapore pungente e molto intenso, tipico del pesce grasso e saporito, da gustare assolutamente con un calice di vino bianco Koshu per sgrassarne il palato. Infine, la mitica zuppa che ha conquistato anche l’Europa negli ultimi anni: il Ramen.
Non si tratta solo di zuppa e noodles: il ramen tradizionale giapponese, condito in mille varianti, è un vero pasto completo, da gustare ben caldo. Al suo interno si trovano verdure, uovo sodo, carne e un brodo spesso a base di pollo o maiale, dal sapore intenso e avvolgente.
Un’influenza che non ti aspetti: Giappone e Perù si incontrano a tavola
Desidero così concludere questa serie di racconti legati alle tradizioni del cibo e del vino nel mondo, aggiungendo storie che parlano della cucina giapponese esportata altrove e amalgamatasi alle cucine dei luoghi colonizzati secoli fa. Parlo di una cucina nata da contaminazioni e colonizzazioni: la cucina Nikkei. È, innanzitutto, il frutto di una fortunatissima unione fra cucina giapponese e cucina peruviana, che incontrandosi hanno dato vita a piatti sorprendenti, oggi apprezzati in tutto il mondo.
Durante il XIX secolo si verificò un importante flusso migratorio dal Giappone al Perù e al Sud America in generale: luoghi lontani e diversi, sia culturalmente che in fatto di materie prime, dove i giapponesi venivano chiamati nikkeijin, ovvero gli immigrati giapponesi. Forti della loro cultura, fecero di tutto per conservare le proprie radici e tradizioni, e uno dei modi fu proprio attraverso la cucina. Adattandosi a ciò che la natura locale offriva, nacque un percorso di contaminazione — che, come sempre, è reciproca — tra cucina giapponese e cucina peruviana, dando vita a piatti facilmente riconoscibili grazie all’originalità degli abbinamenti che li caratterizzano.
Così, con il rigore e la delicatezza del gusto giapponese uniti al brio e alla vivacità del gusto sudamericano, si è creata una cucina meravigliosamente interessante, dai sapori agrumati e tropicali, spesso abbinati a pesce crudo marinato.È nato così il Ceviche, che combina il modo giapponese di tagliare il pesce crudo con i sapori sudamericani: piccante, frutto della passione (o altra frutta tropicale), patate, mais e chili, per citarne alcuni.
Allo stesso modo, ingredienti come riso, miso, daikon e yuzu sono entrati a far parte delle ricette più intriganti della cultura gastronomica frutto di questo incontro. Giappone e Perù si incontrarono a tavola e non si lasciarono mai più, componendo piatti oggi popolari in tutte le cucine fine dining che celebrano le contaminazioni culinarie. Flussi migratori di persone, costumi, tradizioni, vitis vinifera e cibi di ogni genere hanno creato nuove cucine e vini interessanti da abbinare, adattandosi ai palati locali e offrendoci oggi il piacere di raccontare cibi e vini di mondi lontani…
Al prossimo viaggio…
Cheers! 🥂
Barbara Costantino
Formatore Sommelier