Qualche ora e voliamo dall’altra parte del mondo, verso terre lontane, dove abbiamo già raccontato di vini, uve coltivate, ma soprattutto di stili del vino molto diversi da quelli europei nei nostri viaggi precedenti. Parleremo di due terre circondate dal Pacifico, dove, grazie ai coloni britannici, la coltivazione della Vitis vinifera approdò verso la fine del 1700, prima in Australia e poi in Nuova Zelanda. I primi tentativi di coltivazione non ebbero successo, nonostante l’importazione di barbatelle dal Sudafrica. Si dovette aspettare l’arrivo di barbatelle francesi e l’introduzione di tecniche europee da parte di italiani, tedeschi e greci per ottenere risultati di buona qualità nella produzione del vino. In Nuova Zelanda, invece, fu verso la prima metà dell’800 che si iniziarono a coltivare diverse varietà nella parte nord, nel Northland, dove ancora oggi si trovano vitigni particolarmente adatti al clima più caldo.
Gli inglesi furono i primi a commercializzare i vini di queste due terre, grazie all’intensa domanda, facendo diventare queste nuove realtà vinicole molto forti nell’esportazione. Dopo la crisi della fillossera, che colpì anche questa zona, la produzione si concentrò sulla modernizzazione delle tecniche vitivinicole, eliminando l’uso di sostanze chimiche in vigna e diventando sempre più competitiva a livello globale. Questo ha portato alla creazione di uno stile unico e inconfondibile, caratterizzato da profumi intensi e un’impronta fruit-driven, ovvero con una forte esaltazione delle note fruttate, resa possibile dalle molte ore di luce offerte dal territorio. Grazie a queste condizioni, l’Australia e la Nuova Zelanda sono diventate rispettivamente il quinto paese al mondo per la produzione di vino e il quarto per l’esportazione.
Oltre le terre selvagge ed incontaminate, il vino dall’altro capo del mondo
Le produzioni in questo Nuovo Mondo sono legate agli europei: le popolazioni autoctone Maori, per esempio, non hanno mai coltivato la vite né, ovviamente, prodotto vino. Non avendo contatti con il resto del mondo, questa pianta e la sua coltivazione semplicemente non erano conosciute.
Questa terra estrema, la Nuova Zelanda, ha un clima caratterizzato dall’asprezza delle montagne, dall’influenza dell’oceano, dai numerosi vulcani attivi e da colline verdi, che si estendono a perdita d’occhio. Distese di natura diversa e mozzafiato, con tante ore di luce che permettono alle uve di maturare in maniera ottimale, dando origine a vini freschi e pieni di carattere.
Dai Sauvignon Blanc di eccellenza mondiale, dallo stile inconfondibile di Marlborough, situata nella parte nord-orientale dell’Isola del Sud e considerata la regione vinicola più famosa e più estesa della Nuova Zelanda. Il clima è temperato oceanico, con estati calde e secche e inverni freschi. Le precipitazioni sono moderate tutto l’anno, con una media annua di circa 700 mm. I vigneti si trovano principalmente nella valle del fiume Wairau, producendo vini espressivi, vivaci, strutturati e persistenti. Ancora più a sud si trova la regione vinicola più alta e più interna della Nuova Zelanda, dove il clima è temperato oceanico-continentale, con estati calde e secche e inverni freddi e nevosi. Da qui arriva un Pinot Noir dal frutto complesso e ampio, con una base affumicata e sapida grazie ai terreni vulcanici.
A nord, le zone vinicole sono numerose e le varietà coltivate molto variegate, ma mi piace concentrarmi, per esempio, sull’Isola dell’Abbondanza, Bay of Plenty, nella regione di Waikato, dove abbondano i vigneti che regalano vini freschi, aromatici e con una spiccata acidità. Anche Hawke’s Bay, sempre a nord e già raccontata nel viaggio precedente, è celebre per i suoi Chardonnay strutturati e persistenti, provenienti dai terreni ghiaiosi di Martinborough. Infine, nella zona meridionale della parte nord, troviamo Wairarapa, la regione vinicola più piccola della Nuova Zelanda, che regala vini di grande finezza olfattiva, elevata acidità e delicatezza nel corpo. Ma chi più ne ha più ne metta: la Nuova Zelanda è tutta una scoperta di natura incontaminata e vigneti che, da anni, si stanno convertendo a metodi più rispettosi del territorio. Dieci regioni vinicole tra nord e sud raccontano una storia recente, ma ricca di sapori e contenuti enologici all’avanguardia.
L’Australia non è da meno, anzi! La sua straordinaria varietà di vitigni riflette la grande diversità geografica, climatica e culturale del paese. Qui si possono trovare vitigni provenienti da tutto il mondo, sia i più diffusi e conosciuti, come Chardonnay, Shiraz e Cabernet Sauvignon, sia varietà come Grenache, Mourvèdre, Riesling, Semillon, Zinfandel, Nebbiolo, Sangiovese, Tempranillo e Verdelho. Inoltre, vi sono vitigni che si sono adattati perfettamente dall’Europa all’Australia, come il Muscat di Alessandria, il Muscadelle, il Pedro Ximénez, il Palomino e il Sultana, che si trovano in zone molto specifiche d’Europa e sono difficili da reperire altrove.
Il clima e il territorio sono influenzati dall’oceano e dalla latitudine, con un’estrema varietà climatica che ha permesso l’adattamento di molteplici vitigni. Le regioni viticole australiane si trovano principalmente nella fascia costiera sud-orientale e sud-occidentale del continente, dove il clima è più mite e umido e beneficia dell’influenza moderatrice degli oceani Indiano e Pacifico. In queste zone, la vite trova le condizioni ideali per maturare e sviluppare le proprie caratteristiche aromatiche e fenoliche, dando origine a vini di qualità ed espressione.
Tra i più conosciuti dagli esperti in materia troviamo:
- Gli Shiraz di Barossa, corposi, caldi, morbidi, tannici e persistenti.
- Gli Chardonnay di Yarra Valley, raffinati e profumati, complessi e caratterizzati da sentori di frutti tropicali, agrumi, fiori, miele, burro e nocciola, con una grande sapidità e cremosità.
- I Riesling della Clare Valley, con note di frutti esotici, agrumi, fiori, erbe, petrolio e pietra focaia.
- I Cabernet Sauvignon delle terre rosse di Coonawarra, eleganti e strutturati.
- I caratteristici Semillon della Hunter Valley, che affinano solo in acciaio, ma sviluppano una complessità estrema con sentori di frutta bianca, fiori, erbe, miele e cera. Sono vini secchi, leggeri, acidi, sapidi e persistenti, con una straordinaria capacità di invecchiamento.
Un rapido panorama vinicolo per poi approfondire come queste straordinarie varietà si siano adattate e, soprattutto, come vengano combinate con i cibi locali, spesso sconosciuti e originali. Perché anche da queste parti, le esplosioni di sapori sono all’ordine del giorno!
Cibi e tradizioni di terre lontane
Riflettori puntati sui cibi nativi di questa parte del mondo. Pare che i canguri siano stati cacciati per la loro carne dalle popolazioni autoctone australiane per molte generazioni, ma la carne di canguro non fu legalizzata per il consumo umano fino alla fine degli anni ’80 nell’Australia Meridionale, seguita da altri stati nel 1993. Tuttavia, prima di questa legalizzazione, le ricette con carne di canguro apparivano abbastanza regolarmente nei libri di cucina fino agli anni ’30. Durante quel periodo, la zuppa di canguro era molto ricercata: uno stufato a base di carne di canguro arricchito con maiale salato, che lo rendeva particolarmente saporito.
Dopo vari programmi di controllo delle popolazioni di canguri, dovuti anche al sovrappopolamento di questa specie australiana, oggi l’animale è protetto dalla legislazione statale e federale. Delle 48 specie di canguro presenti nel paese, solo cinque possono essere raccolte commercialmente.Questa carne rappresenta una fonte essenziale di proteine, grazie al suo elevato contenuto proteico e al basso contenuto di grassi (circa il 2%). Gli indigeni hanno attribuito nomi e usi particolari all’interno delle loro comunità, definendo specifici modi di cucinare e tagliare l’animale per il consumo.
I diversi nomi e le varie tradizioni nel paese riflettono l’importanza del canguro nelle culture locali: per esempio, presso gli Arrente dell’Australia centrale, l’animale viene preparato e consumato in modo specifico, spesso accompagnato da bevande particolari. In altre zone, invece, la tipologia Malu prevede l’utilizzo delle carcasse per la creazione di utensili di vario genere.
Dal punto di vista gastronomico, la carne di canguro tende a seccarsi molto rapidamente; per questo motivo, viene solitamente cotta da rara a media. Si tratta di una carne sana, a basso contenuto di grassi saturi, ruspante, biologica e ricca di ferro, oltre a contenere elevate quantità di acido linoleico coniugato (CLA), un composto che offre diversi benefici per la salute, dalla riduzione dell’obesità alle proprietà antitumorali e antidiabetiche. Il sapore ricorda quello della carne di cervo e bufalo: non è asciutta come il cervo, ma è più magra della carne di bufalo.
Grazie alla sua magrezza, può essere preparata in vari modi: alla griglia, sotto forma di hamburger, insaccata o come polpette al sugo. Essendo così magra, si abbina perfettamente ai vini locali, caratterizzati da grande concentrazione di frutta, corpo e struttura, creando il giusto equilibrio tra texture e sapori.
La Kangaroo Pie, invece, è una torta salata ripiena di carne di canguro, molto diffusa e apprezzata sulle tavole australiane. La ricetta fu inventata da una cuoca austriaca, che la battezzò così perché la forma della torta ricordava il marsupio del canguro. Esistono due varianti principali: una a base di pesce, farcita con merluzzo, cetriolini e formaggio cheddar, e un’altra ripiena di carne di canguro, precedentemente stufata in umido.
Nelle zone più vicine al mare si è sviluppata una raffinata conoscenza del pesce e dei crostacei, spesso cucinati alla brace o affumicati per una migliore conservazione. Entrambi questi sapori si sposano perfettamente con il vino: la cottura alla brace si abbina bene a vini morbidi e “juicy”, che bilanciano la croccantezza e la parte amarognola della carne di pesce, mentre l’affumicato si sposa con vini che presentano note minerali, di pietra focaia e sapidità marina.
Un elemento tipico della cultura indigena è la Witchetty Grub, una sorta di larva di falena bianca che vive tra le radici delle acacie. Questi insetti vengono cotti sulla brace e mangiati in un solo boccone, ma pare che possano essere consumati anche crudi. Hanno un sapore dolce che ricorda le noci e rappresentano un aperitivo gourmet particolarmente ricco di proteine.
Le influenze gastronomiche esterne (sia in Australia che in Nuova Zelanda) non mancano: si ritrovano facilmente pie inglesi, salsicce e fish & chips, ma anche contaminazioni postbelliche, come quelle asiatiche, che hanno marcato profondamente la cucina locale. La tradizione culinaria è stata arricchita con Dim Sum, noodles e piatti dal sapore umami, oltre all’uso di spezie ed erbe aromatiche. Questa fusione con la cucina asiatica si sposa perfettamente con i vini locali, ampi e fruttati, che bilanciano le componenti speziate e piccanti dei piatti orientali.
In Australia, il barbecue è un’istituzione. Carne e pesce alla griglia rappresentano momenti di convivialità e semplicità, con marinature leggere a base di olio d’oliva, aglio e limone, accompagnate da insalate fresche, pane e salse. Per esaltare questi sapori, un Shiraz della Barossa Valley si rivela l’abbinamento perfetto, regalando un’esplosione di sapori unica.
Dall’altra parte del mare, nel cuore della cultura Māori della Nuova Zelanda, esiste un antico metodo di cottura: il Hāngi. Questa tecnica tradizionale prevede la cottura sotterranea dei cibi e crea sapori distintivi, offrendo un’esperienza culinaria unica. Il Hāngi richiede una preparazione complessa: si scava una buca profonda circa un metro, si accatasta legna e si riscaldano pietre o pezzi di metallo fino a renderli incandescenti. Il cibo viene poi riposto in sacchi di tessuto e cestelli di metallo, impilati nella buca sopra le pietre roventi. Dopo aver coperto tutto con panni umidi e terra, il cibo cuoce lentamente per circa 3-4 ore, sfruttando il calore residuo. Un vero e proprio rito sociale, tramandato di generazione in generazione da oltre duemila anni.
Oltre ai piatti tipici, si trovano molte influenze britanniche e del Pacifico. Un esempio è il panino con Marmite, un must della colazione neozelandese, a base di una pasta marrone densa realizzata con estratto di lievito. Ha un sapore intenso e salato, molto apprezzato tra australiani e neozelandesi.
Un’altra specialità è il Mutton Bird, un uccello particolarmente saporito. In tempi antichi, i Māori lo cucinavano direttamente nelle sorgenti termali, mentre oggi viene preparato con tecniche più raffinate nei ristoranti gourmet.
Un evento attesissimo in Nuova Zelanda è la Whitebait Season, durante la quale viene autorizzata la pesca del piccolo pesce Whitebait, disponibile solo in determinati periodi dell’anno. Tradizionalmente grigliato dai Māori sotto il sole, oggi viene principalmente fritto ed è considerato una vera prelibatezza locale. Aragoste, gamberi e cozze verdi giganti dell’oceano completano il panorama culinario marino della regione.
Per quanto riguarda i dolci, tra i più celebri troviamo la Pavlova, un dessert a base di meringa con un cuore morbido e una crosta croccante, ricoperta di panna montata e frutta fresca, e i Lamingtons, cubetti di pan di spagna ricoperti di cioccolato e cocco, spesso ripieni di marmellata.
Questi dolci si abbinano perfettamente ai vini locali: la Pavlova si sposa bene con un Semillon della Hunter Valley, mentre i Lamingtons trovano il loro equilibrio con un Pedro Ximénez.
Non mancano tradizioni e sapori unici anche in questa parte del mondo: un viaggio culinario ed enologico da assaporare minuto per minuto, tra oceani, vulcani e colline verdi.
Al prossimo viaggio, alla scoperta di cibi e vini di mondi lontani!
Cheers! 🥂
Barbara Costantino
Formatore Sommelier