Se negli ultimi anni vi fate un giro per i winebar di Manhattan noterete un minimo comun denominatore nelle carte dei vini al bicchiere: Etna Rosso. Da sempre la grande mela è meta e barometro dei trend di export dei vini italiani nel mondo, e non deve stupire che la vulcanica DOC Siciliana, i vini dell’Etna, che ancora vive una fase embrionale della sua popolarità nel mercato domestico sia sulla cresta dell’onda nei principali mercati esteri, figuriamoci nel mercato a stelle e strisce dove la facciamo da padroni.
La storia dei vini dell’Etna
Un successo molto recente da una zona vitivinicola che ha altresì una storia antichissima: la maestranza di coltivazione dell’alberello etneo risale al 1435 a Catania, provincia che per anni era stata la più vitata della Sicilia. Fillossera, tassazione del Regno d’ Italia e maggiore convenienza di altre colture ne videro il declino lento ed inesorabile.
Arriviamo quindi all’inizio del nuovo millennio, quando un piemontese, un laziale e un belga arrivano sulla scena a dare manforte alla sicilianissima azienda Benanti, che fino ad allora aveva da sola portato avanti una rinascita qualitativa della zona. I tre alloctoni fonderanno Tenuta Delle Terre Nere, Passopisciaro e Frank Cornelissen. Il resto è storia di un successo commerciale che ha radici profonde, quello dei vini dell’Etna.
Le caratteristiche della terra dei vini dell’Etna
“A muntagna”, così viene chiamato il vulcano attivo più alto d’ Europa dai Catanesi è alto 3340 metri e perennemente innevato alla sommità. I versanti del vulcano sono ricoperti da suoli derivati dalla solidificazione del magma del mantello terrestre. Dal punto di vista geologico sono dei suoli neonati, parliamo di massimo 500000 anni, un niente. Suoli giovani, ricchi in minerali, di consistenza che va dal ciottoloso, al ghiaioso, al sabbioso, al cinereo. Si perché ad ogni eruzione la cenere delle esplosioni si deposita dolcemente nei giorni successivi sul terreno, rinnovandone la fertilità.
In una regione dal clima caldo mediterraneo come la Sicilia, l’Etna si distingue per un clima totalmente diverso, dato ovviamente dal fattore altitudine. I vigneti si concentrano principalmente nella fascia tra i 300 e i 900 metri di altezza, con picchi fino ai 1100 metri. Altitudine significa maggiore esposizione al sole per favorire la maturazione dei tannini e degli antociani nei vini rossi ed escursioni termiche giorno/notte importanti (fino a 25 gradi) per favorire la maturazione aromatica nei vini bianchi. Temperature più basse e precipitazioni concentrate in autunno e inverno. Nonostante l’estrema prossimità del mare, il clima è quasi continentale. Questo clima dà le caratteristiche ai vini dell’Etna.
Un’ altra straordinaria singolarità del vulcano etneo è rappresentata dall’ alta percentuale di vigneti franchi di piede, quindi non innestati su portinnesto americano. Ciò è possibile per diverse peculiari caratteristiche del territorio che sono particolarmente ostili alla propagazione della Fillossera: terreno sabbioso-vulcanico che rende la diffusione dell’afide difficoltosa, acidità dei suoli che ne è altresì ostile e non ultimo il freddo dettato dall’altitudine. Un vero e proprio oro viticolo che ci permette di avere vini da viti a piede franco, a detta di molti qualitativamente inarrivabili da parte delle viti innestate.
La coltivazione della vite avviene sia a controspalliera per le aziende più commerciali sia nel tradizionale metodo ad alberello etneo per quelle più vocate alla qualità: il tronco è potato a 3 o 4 branche con 2 gemme ciascuna ed è sorretto da un palo in castagno con densità di impianto molto alte che vanno da 8000 fino a 9000 ceppi/ettaro. La disposizione delle piante nel vigneto è di stampo romano ed è denominata a quinconce: immaginate gruppi di cinque piante, quattro stanno al vertice di un ideale quadrato, la quinta ne è il centro. Quest’ultimo metodo di impianto porta le viti ad essere molto vicine tra di loro, negando la possibilità di meccanizzazione, alzando i costi di gestione e manodopera e abbassando notevolmente le rese per ettaro.
Le varietà dei vini dell’Etna
Le varietà coltivate sono Nerello Mascalese e Nerello Mantellato (Nerello Cappuccio) per i rossi, impiantate principalmente sul versante nord, nell’ areale che va idealmente dal comune di Linguaglossa al comune di Randazzo. Il Nerello Mascalese la fa da padrone: vitigno vigoroso e resistente, a maturazione tardiva (unico insieme al Nebbiolo a raggiungere la seconda decade di ottobre), con un livello alto di tannini e meno alto di antociani. Il rosso dal colore scarico che ne deriva viene spesso grossolanamente paragonato al Pinot Nero. Il Nerello Cappuccio matura prima ed è più colorato, viene impiegato in percentuale minore in un blend ideale. Sono varietà che esprimono marcatamente il terroir di origine, manifestando grande variabilità qualitativa in base alla cura che ricevono in vigna. Un’altra varietà a bacca rossa discretamente diffusa è il qui detto Alicante, che altro non è che il nome siculo della Grenache (Cannonau in Sardegna). Molti produttori indicano anche presenza di ceppi di Pinot Nero in vigne vecchie. La promiscuità varietale nei vigneti più antichi, spesso franchi di piede, è una peculiarità nonché una ricchezza: molti vigneti sono così vecchi (130-140 anni di età media dei ceppi) che risulta praticamente impossibile determinare il preciso patrimonio genetico.
Il versante est del Vulcano, nella zona che va dal comune di Milo fino a Zafferana Etnea, è invece terra di vini bianchi. La varietà più diffusa è il Carricante, vitigno autoctono che presenta un peso del mosto molto basso, un profilo finemente elegante e un’alta acidità. Porta aromi citrici, floreali e idrocarburici, con grande potenziale di invecchiamento. Altra varietà autoctona presente ma poco diffusa è la Minnella, che prende il nome da “Minna” per la forma del grappolo che ricorda quella del seno di una donna. Troviamo anche impianti di Cattarratto (sia Comune che Lucido) e Trebbiano.
I vini dell’Etna richiamano spesso alla memoria dell’appassionato enoico un’altra regione di grandi vini, che per molteplici motivi è stata vestita di analogie da parte di più di un produttore etneo: la Borgogna. Primo fra tutti lo stile pinotnoireggiante dei rossi con colore scarico, frutto ben dosato e legno poco invadente che puntano all’ eleganza e bianchi di finezza e invecchiamento. Ma la comunicazione del territorio ha avuto il grande merito, fin da subito, di differenziare i versanti in micro-areali con caratteristiche ben precise di elevazione, esposizione, suolo e clima. Proprio come avviene da tempo per i Cru della Cote D’ Or. Sull’ Etna queste zone sono chiamate Contrade. Altro non sono che unità amministrative catastali di appezzamenti che portano nomi antichissimi e delimitano un’areale di produzione. Come per i Cru borgognotti, anche le contrade hanno il vigneto diviso tra diverse aziende proprietarie ma ogni produttore cerca di esprimere al massimo le peculiarità di quella specifica vigna. Si tratta di una scelta qualitativa davvero straordinaria, che esprime al massimo il legame identitario di un vino con un singolo vigneto all’ interno di un areale vulcanico dalle notevoli differenze a livello di microclima, età delle colate laviche, composizione del suolo ed esposizione.
Realtà aziendali di riferimento dei vini dell’Etna
Voglio parlarvi ora delle 4 realtà aziendali di riferimento per la zona etnea attraverso quelli che secondo me sono i loro vini più espressivi, aggiungendo un quinto produttore che vale la pena tenere d’occhio.
Etna Bianco Superiore DOC “Pietramarina” (Benanti): da uve carricante 100% allevate in contrada Caselle, versante est del vulcano. Il bianco etneo per antonomasia è stato il primo dei vini etnei a dimostrare la costanza qualitativa negli anni. È carattere ed eleganza, ma se parliamo di longevità, qui siamo davvero allo stupefacente. I quasi mille metri di altitudine si sentono tutti nella finezza aromatica di agrumi e mandorla e nella tensione acida ben dosata da una struttura che ne darà spinta per molto molto tempo. Un mito.
IGT Terre Siciliane Contrada Porcaria (Passopisciaro): da uve nerello mascalese provenienti dalla contrada Porcaria, posta a circa 650 m sul versante nord. Un rosso che ha tutto quello che si cerca in un vino vulcanico, materia, estrazione, mineralità, acidità. Sarà che in questa contrada la colata lavica è così cinerea e sabbiosa, sarà la folle densità di impianto impiegata da Franchetti, sarà che è semplicemente un grandissimo vino.
Etna Rosso Prephilloxera (Tenuta Delle Terre Nere): la storia della viticoltura etnea in un’etichetta? Direi di si. Età media delle viti di più di 130 anni, 98% Mascalese 2% Cappuccio in contrada Calderara Sottana: dimenticatelo qualche anno in cantina, scaraffatelo e poi via di goduriosa meditazione. No, non lo abbinerei a nulla!
IGP Terre Siciliane Rosso “Magma” (Frank Cornelissen): un produttore che definire naturale o biologico sembra quasi riduttivo. Estremo è la parola giusta, forse… Vigne di Nerello Mascalese piantate all’ inizio del secolo scorso(pre-fillossera), altitudine superiore ai 900 metri, vinificazione senza inoculo di lieviti, senza solforosa, senza legno (manca solo senza Salvini). Un rosso a primo impatto elegante, che poi mostra le unghie con un cuore balsamico ed etereo che fanno capire la scelta del nome. Prodotto solo in grandi annate. Ca va sans dire.
Etna Rosso DOC “Aetneus” (I Custodi Delle Vigne Dell’ Etna): dico sempre scherzosamente al produttore che questo è il Barolo della Sicilia, ma se c’è un vino dove Mario Paoluzi mette tutto se stesso, è sicuramente questo. Da viti di 150 anni coltivate interamente a mano (9000 piante a ettaro!) di Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio. Lungo e magistrale affinamento in barrique e botte grande. C’ è un frutto che sembra uscire dalla cenere del Vulcano, c’è una sottile nota di arenaria e pietra focaia che richiama la beva facile con una spinta acida raramente sperata per un rosso così importante. Già un riferimento.
Gabriele Colombo
Quindici anni fa iniziava il suo viaggio nel mondo vitivinicolo con l’iscrizione ad Enologia e Viticoltura. Viaggio che lo ha portato in molti angoli del mondo. Non solo un lavoro, il vino, ma una passione totalizzante, nutrita con corsi sommelier, corsi WSET e tante, tante bottiglie.
Ama pensare al vino come un mezzo estetico per portare avanti il grande umanesimo di stampo contadino, che Gabriele considera vero fondamento della cultura italiana.