Nell’immaginario comune qualsiasi odore sgradevole del vino “sa di tappo”. Che poi se si domanda a qualcuno, non esperto di vino ovviamente, quale sia l’odore di tappo le risposte sono molteplici: puzza di sughero, di muffa, di chiuso, di bagnato, di aceto … e potrei continuare. Ma cosa è veramente l’odore di tappo? E come lo riconosciamo? Come distinguerlo da altri difetti del vino? Vediamo nello specifico quali possono essere i problemi del vino e da cosa sono causati.
I Difetti del Vino
L’odore di tappo, meglio conosciuto come TCA
La disinformazione e le false credenze che circondano la contaminazione del sughero sono talmente tante che si è perso di vista quale sia il vero problema. Si stima che dall’1% al 7% dei tappi in sughero messi sul mercato siano potenzialmente pericolosi, quindi è sicuramente un problema diffuso e che può colpire indistintamente vini di fascia media o premium, in modo casuale. Come vedete vi sto parlando di tappi e non di vini, perché il difetto nasce dal tappo e non dal vino. Il vino prima dell’imbottigliamento non presenta odori sgradevoli o difetti, si forma nel vino dopo l’imbottigliamento e non può essere rilevato finché non viene aperto.
La contaminazione da sughero è in effetti un insieme di caratteristiche aromatiche e di sapore sgradevoli, che vengono trasmessi ai vini imbottigliati dopo il contatto con il loro tappo. Il composto chimico che determina la contaminazione del tappo è un fungo, che si chiama 2,4,6 tricloroanisolo (TCA). Il TCA è una molecola piccola e chimicamente semplice, ma allo stesso tempo letale per il vino. Quando si trova a livelli bassi non tutti percepiranno la contaminazione. A livelli bassi, anche se passa inosservato, il TCA sopprime l’aroma e il sapore del vino. In queste circostanze, il confronto con altre bottiglie è l’unico modo in cui la contaminazione può essere verificata con sicurezza. L’odore di tappo si manifesta in modo diverso a seconda del suo grado. Per i vini contaminati è relativamente facile individuarlo, se sai cosa cercare. Il TCA determina un odore di cartone bagnato, ammuffito o umido.
Alla base della produzione di TCA c’è una complessa reazione chimica: la conversione dei clorofenoli in cloroanisolo a partire da comuni funghi microscopici come l’Aspergillus e Pennicilium, ma soprattutto l’Armillaria mellea. I clorofenoli vengono usati come pesticidi e come conservanti del legno e come tali sono inquinanti ambientali comuni. L’assorbimento delle più piccole quantità di clorofenolo da parte della corteccia di sughero durante qualsiasi fase della sua crescita fornirà il potenziale per la contaminazione del tappo. Ma non basta. Anche successivamente nelle fasi di fabbricazione e trasporto del sughero può avvenire la contaminazione. Ad esempio durante lo sbiancamento del sughero con iperclorito (oggi usato meno frequentemente a favore del perossido), si può entrare in contatto con i clorofenoli, oppure dai materiali di imballaggio e pavimenti di container in legno. Può quindi passare anche attraverso l’aria oltre che per contatto diretto.
Una volta contaminato il vino dopo l’imbottigliamento il TCA non andrà più via, essendo un composto molto stabile. Inutile ossigenarlo, decantarlo o travasarlo, il vino non si pulirà. Che cosa si può fare quindi? Si potrebbe riportare il vino dove lo si è acquistato o, al ristorante, mandarlo indietro. Il ristoratore, per tutelarsi, deve prevedere un’assicurazione o degli accordi specifici con i fornitori in caso di vini evidentemente difettati. Le grandi cantine ricevono centinaia di bottiglie restituite ogni anno a causa del TCA.
Per ovviare al problema ci sono numerose soluzioni: usare chiusure alternative, come il Nomacorc o il tappo a vite, oppure affidarsi a produttori di tappi in sughero che garantiscono trattamenti contro la formazione del difetto, come Diam o Amorim.
In particolare, Nomacorc è ottenuto da materie prime a base vegetale, sostenibili e rinnovabili, derivate dalla canna da zucchero. Questi tipi di tappi sono riciclabili e sono adatti anche per vini dal lungo invecchiamento.
Altri alterazioni e difetti del vino
Il fungo del TCA non è l’unico difetto relativo ai vini.
Oltre ai difetti cosiddetti esterni alla produzione del vino esistono quelli interni alla fermentazione e maturazione in cantina.
L’origine dei difetti in cantina può essere varia: batteri, cattiva gestione dell’ossigeno o dell’anidride solforosa, funghi e lieviti, etc.
Batteri
I principali batteri che qui vedremo sono della specie Acetobacter. Questi reagiscono metabolizzando alcohol e ossigeno creando acido acetico: l’eccessiva e prolungata esposizione all’aria o a temperature troppo elevate facilitano questa reazione. Lo spunto è la fase iniziale della malattia, in cui l’Acidità Volatile (VA) risulta in sentori mentolati o lievemente eterei, al palato, il gusto di aceto è appena riconoscibile. L’acescenza invece rappresenta la fase acuta, nella quale il vino risulta del tutto imbevibile.
Composti sulfurei
Se percepiamo sentori di uova marce o zolfo siamo in presenza di un eccesso di anidride solforosa dovuta alla mancanza di travasi, assenza di ossigeno o mancanza di elementi nutritivi per i lieviti (azoto). Sotto certi livelli, i sentori che si percepiscono ricordano la mineralità, e risultano quindi gradevoli, ma in eccesso sforano in veri e propri difetti.
Ossigeno e temperature
Un eccesso di calore o esposizione all’ossigeno può causare la cosiddetta maderizzazione, che ne provoca un colore ambrato precoce e la perdita di ogni sentore di giovinezza. In alcuni casi però, per esempio per i prestigiosi vini Madeira o per il Vin Santo, questo processo consente la stabilizzazione e la creazione di aromi complessi e concentratissimi, tali da rendere i vini apprezzabili anche per il loro lunghissimo potenziale di invecchiamento.
Funghi e Lieviti
I lieviti appartenenti al genere Brettanomyces sono quelli maggiormente diffusi dopo i Saccharomyces cerevisiae. Questo microrganismo è tra i maggiori responsabili dell’origine di odori e aromi sgradevoli nel vino. I difetti organolettici originati da Brettanomyces e riscontrati in vini di tutto il mondo possono essere ricondotti a descrittori quali: fumo, panno bagnato, orina di topo, sudore di cavallo, stalla, cerotto, plastica, ecc.; usualmente tali odori sono definiti come “Brett”. La presenza del difetto condiziona il profilo aromatico dei vini fino al punto di stravolgerlo: i livelli di percezione variano da persona a persona e – mentre delicate note affumicate possono essere gradevoli – i livelli più elevati sono senza dubbio spiacevoli, andando altresì a inficiare il palato del vino, che diventa più asciutto, con tannini più astringenti e nessun volume glicerico . Il motivo principale risiede nel fatto che Brettanomyces produce una gamma di composti volatili, tra i quali si annoverano il 4-etilfenolo, il 4-etilguaiacolo (riferibili ai descrittori: cerotto, plastica, fumo, speziato), ed in alcuni vini bianchi il 4-vinilguaiacolo ed il 4-vinilfenolo. L’origine è in vigna e in cantina: i lieviti popolano l’ambiente di produzione circostante, impregnando anche le botti di legno[1].
Altre alterazioni all’esame visivo
Alcune lamentele da parte dei consumatori non riguardano i difetti, ma mere alterazioni visive dovute a precipitazioni: Bitartrato di Potassio e proteine per esempio. Questi non sono difetti: non hanno sapore e non sono pericolosi per la salute, provocano semplicemente dei cristalli o sedimenti sgradevoli alla vista.
Cristalli o depositi simili a sabbia si possono riscontrare in vini, soprattutto nei bianchi anche di qualità, se esposti a temperature troppo basse che possono causare la precipitazione dei tartrati, cristalli salini che sedimentano sul fondo della bottiglia.
Oppure, quando si crea un legame tra tannini e proteine, si manifesta un precipitato di colore biancastro. Semplici trattamenti in cantina possono limitare questi cristalli.
Insomma le insidie sono dietro l’angolo, alcune è più semplice prevenirle altre meno, ma in ogni caso imparare a conoscerle è il primo passo per saperle individuare e definire, perchè un odore sgradevole non è solo tappo!
[1] BRETTANOMYCES E VINO – RISCHI, PREVENZIONE E RIMEDI Andrea MINACCI, Stefano FERRARI (ISVEA, Poggibonsi – SI)
Stefania Zona
Relatore per Degustibuss regione Campania, in possesso del secondo livello WSET, Sommelier AIS. Laureata in Culture digitali e della Comunicazione nell’Università Federico II di Napoli, ha fatto della sua passione un lavoro unendo gli studi all’amore per la sua terra e per il vino. Si occupa di comunicazione digitale nel settore enogastronomico. Ha collaborato con diverse associazioni, cantine e locali sul territorio per la realizzazione di eventi e degustazioni con l’obiettivo di promuovere i vitigni e i vini campani.