Le radici del regno Etrusco
Apice del potere durante il VI secolo, Etruschi e Cartaginesi si trovarono alleati a governare la penisola della parte centrale. Gli Etruschi incisero fortemente sul futuro della Toscana e del Chianti, lasciando un’impronta indelebile nella storia dell’agricoltura di questa regione, introducendo la vite e le prime coltivazioni di vigne.
Nel 1507 la tomba ipogea nel Chianti, in Castellina, non è l’unica testimonianza, il nome stesso Chianti deriva dal nome di una famiglia etrusca, i Clante, oppure dal latino Clango che significa rumore di armi e trombe.
Moltissime sono le anfore ritrovate nelle necropoli etrusche presenti tra Castellina e Radda, segno di un vino che è stato protagonista indiscusso degli usi e costumi tra gli abitanti di questa terra: gli Etruschi esprimevano i valori e le usanze della loro cultura attraverso manufatti, vasi ed anfore con rappresentazioni della loro civiltà.
Tra le rappresentazioni è noto il ritrovamento di anfore dipinte, scene di simposio, figure nere risalenti alla fine del VI secolo a.C, banchetti con coppie di uomini e donne agiate su cuscini con chiarissima rappresentazione di grappoli d’uva.
Anfore e necropoli, Monti di Pratomagno, scavi come Poggio alla Croce non lontano da Radda, o anche San Donato al Poggio pozzi di testimonianze etrusche, o ancora la Necropoli del Poggino, architetture ipogee stratificata, tracce ci abitazioni, ritrovamenti tra colli di vigne e boschi, e infinite anfore cinerarie e per la conservazione del vino degli autoctoni antichi di questa terra.
Così si faceva il vino anticamente, e oggi in netta ripresa le fornaci” artenova terrecotte”, per il ripristino delle antiche tecniche di vinificazione in giare di terracotta, ripropongono la sostenibilità per la vinificazione a basso impatto ambientale.
Gli Etruschi vendemmiavano l’uva pienamente matura, aromi profumi e colori intensi, quelli che oggi si ricerca nei varietali tipici, proprio con il riutilizzo spesso di anfore ed elementi per gli affinamenti più naturali: facevano del vino un commercio fiorente, con avventurose spedizioni verso il Nord Europa; altrettanto i Romani che, nel periodo del loro dominio sulla città, lo inviavano a Roma attraverso il porto fluviale di Palianum dove, in epoca recente, sono state ritrovate numerose anfore vinarie.
Dolci Colline e Fulgida vegetazione
Dolci colline, catene ondulate tra Siena e Firenze per il Chianti Classico, l’area più antica della zona di produzione, dove da sempre questa zona è legata ai vini e non solo.
Le prime aree di produzione erano Radda, Gaiole e Castellina, le più antiche risalenti alla Lega del Chianti, produttori di vino rosso a base sangiovese.
Si perché quando si parla di Toscana, si parla spesso di vitigno Sangiovese, monovitigno nel caso del Grande Brunello di Montalcino oppure assemblato ad altri vitigni sia locali come Canaiolo, Colorino e Mammolo, che internazionali come Merlot o Cabernet, nel caso di altre denominazioni.
Il Sangiovese definito “aspro e amaro a mangiar, ma sugoso e pienissimo di vino” è la varietà più coltivata in Italia centrale, re indiscusso della Toscana, con svariati sinonimi, grosso, piccolo, brunello, prugnolo e morellino tra i più rinomati.
Sanguie Jovis, sangue di Giove, o anche Sanctus Giove, il dio dei Romani; dal colore scarico perchè la buccia contiene pochi antociani i quali rilasciano poco colore, e con sentori di ciliegia, amarena e lampone, sottobosco, muschio, humus, con acidità scalpitante e tannini marcati.
Nel 1717 il Granduca di Toscana definisce i confini tra Firenze e Siena per la produzione di questo vino pregiato, ma fu poi il Barone Bettino Ricasoli (1809 – 1880), illustre politico ma soprattutto ricercatore ed imprenditore vitivinicolo di grande lungimiranza, il fautore del vino oggi più famoso nel mondo: il Chianti.
Detto il “Barone di ferro”, appena ventenne, cominciò a Brolio le sue ricerche e sperimentazioni con l’obiettivo di produrre in Chianti un vino di alta qualità, capace di competere a livello internazionale con i grandi vini francesi, all’epoca protagonisti indiscussi.
Bettino Ricasoli compì questa missione con la consapevolezza delle potenzialità del terroir di Brolio unita alla fiducia nei progressi tecnologici e nella scienza applicata ai processi di vinificazione.
Ci furono da parte sua svariati viaggi e ricerche con strumenti all’ avanguardia tanto che, dopo Cavour, fu primo ministro e grazie alla sua determinatezza: come il Conte fu l’uomo del Nebbiolo, Ricasoli diede corso al “risorgimento” della viticoltura italiana per il Sangiovese.
Sviluppò la viticoltura e nel 1872 nacque così il Chianti, la sua formula “riceve dal Sangioveto la dose principale del suo profumo, dal Canajuolo l’amabilità che tempera la durezza del primo, senza togliergli nulla del suo profumo (..) la malvagia, della quale si potrebbe fare a meno nei vini destinati all’invecchiamento, …. Ne accresce il sapore e lo rende piu leggero (…)” oggi la Malvasia viene spesso sostituita da altre uve locali meno aromatiche.
Cosi da leggenda a realtà si creano le basi per un grande vino, destinato all’invecchiamento grazie alle caratteristiche eccezionali e territoriali del vitigno Sangiovese.
Si narra poi che essendo un territorio rigoglioso, suscitò appetiti tra le due città Firenze e Siena che, dopo decenni di conflitti per il controllo del territorio del Chianti, decisero di risolvere la questione scegliendo come rappresentanti un cavaliere e un gallo (bianco e nero).
Non appena il primo avesse udito il canto del secondo, si sarebbe messo al galoppo e il nuovo confine tra i due comuni sarebbe stato fissato nel punto d’incontro tra i due militi. L’idea, evidentemente, era quella di dividersi il territorio più o meno al 50%: partendo alla stessa ora, i due fantini si sarebbero infatti incrociati circa a metà strada.
Le cose, tuttavia, andarono diversamente poiché i senesi scelsero un gallo bianco, a cui nella giornata precedente alla disfida, per farlo svegliare allegro e di buon mattino, gli diedero molto cibo; i fiorentini invece scelsero un gallo nero, oggi infatti simbolo del Chianti Classico, tenuto a digiuno che, a causa dei morsi della fame, cominciò a scalpitare ben prima dell’alba.
Il cavaliere gigliato (Giglio simbolo di Firenze), celere e solerte, partì quindi prestissimo e percorse molta più strada del rivale, incontrandolo nel castello di Fonterutoli (attualmente in Castellina in Chianti). Qui venne firmato il trattato di pace tra i due paesi toscani, che fissarono il loro confine a Castellina, a pochi chilometri da Siena.
Chianti Classico oppure Generico?
Differenze di anni di invecchiamento, rese per ettaro, e percentuali di vitigni ammessi, oltre che i confini di 700000 ettari tra Siena e Firenze destinati alla produzione di Chianti Classico, ben definiti e precisi per la produzione, che fanno di questi due vini grandi entrambi ma diversi.
Essendo i vitigni condizionati dal territorio e dalle caratteristiche che lo compongono il Sangiovese riflette esattamente questo principio, regalando vini diversi ed eccezionali a seconda di dove vengono prodotti.
Cosi nella zona del Classico, con le sue sottozone, ed 11 unita geografiche aggiuntive (UGA), regala diversi vini e diverse zone come Greve in Chianti, diviso in zone molto differenti tra nord, simile a San Casciano (da dove viene il rinomato Solaia) con vini più duri e con un tannino che necessita molto tempo per distendersi, invece a sud con terreni diversi con presenza di galestro dalla compattezza argillosa e buone altitudini dà ricchezza, corposità, profondità strutturale ed eleganza; oppure Lamole (che significa letteralmente “sulle lame”), striscia di terra ricca di arenaria che da ampiezza nei profumi e toni più floreali; oppure Radda, dalle grandi altitudini e clima rigido vini tesi, vibranti, croccanti, ed incisiva alcolicità; o ancora Castelnuovo di Berardenga dove terreni più argillosi e moltissima luce, aiutano le uve a maturare bene mantenendo buone ma non pungenti le acidità, regala cosi rotondità, ciliegia e arancia sanguinella, note balsamiche, e qualche componente sapida; Castellina in Chianti tra le buone altitudini ed ancora un terreno diverso, dà alla luce vini eleganti, equilibrati e gentili.
A Tavola non s’invecchia
….Il mangiar insegna il bere, il cacio è sano se vien di scarsa mano, il meglio della carne è quella d’intorno all’osso.
A leggere i proverbi toscani, vino e cibo sono spesso al centro della scena teatrale della regione: oltre le storiche colline dolci, poeti consumati da grandi amori e passioni letterarie come Dante e Beatrice, ed i Cipressi alti e schietti di Bolgheri di Carducci, troviamo la tavola e la convivialità nel cuore di questa cultura mediterranea antica.
Per i più carnivori, amanti dei salumi, come prosciutto crudo, finocchiona, salame toscano, soppressata, lardo di colonnata con miele e crostini, e perché no (meno carnivoro) un pezzo di pecorino toscano, sono tra i migliori aperitivi arricchiti con pane e crostini tipici. L’abbinamento è facile con un Chianti non troppo complesso, ma più fresco e croccante, oppure meno convenzionale con un bianco come la Vernaccia di San Gimignano, che sgrassa, fresca, croccante, pulita, aromatica al punto giusto, da sprigionare erbe mediterranee come timo, rosmarino e salvia, sfumature salmastre e agrumate, un bianco degno del rispetto di una terra molto più conosciuta per i suoi grandi vitigni a bacca nera.
Nello spettro della carni troviamo ovviamente la Fiorentina, detta anche T-bone, bistecca di carne di manzo con osso, regina della cucina toscana, 3-4 cm di spessore, cotta al sangue, e condita con sale grosso, olio di oliva extra vergine crudo: impossibile non abbinarla ad un ottimo Brunello, o Vino Nobile di Montepulciano, nei quali alla base fa da padrone il grande Sangiovese, con i suoi profumi di sottobosco, cuoio, ciliegie e lamponi, tannini taglienti ma fini ed acidità degne di grandi invecchiamenti.
Infine la Rosticciana, costine di maiale cotte alla brace, intere o singole costolette, con sale, pepe, e rosmarino a pennello, succulente e morbide, ottime con un morbido Chianti di Castelnuovo di Berardenga oppure con un morbido Morellino della zona di Scansano.
Le Pappardelle al sugo di cinghiale per chi ama i primi sono da provare con un calice di Chianti Classico.
Per gli amanti del pesce, si va nel Livornese e si ordina il Caciucco, cucina marinara toscana con le due varianti livornese o viareggina, zuppa di pesce povero, con aggiunta di crostacei e molluschi, polpi, seppie, cicale, scorfani in salsa di pomodoro e vino, impiantata con pane abbrustolito e agliato, rigorosamente da dover essere imbevuto nella zuppa.
E come non accompagnarlo con un fresco Vin Ruspo, rosato della zona del Carmignano (Prato), rosato fresco e sapido, base Sangiovese assemblato a vitigni internazionali come il Cabernet Sauvignon per dargli struttura, o vitigni locali come il Canaiolo, oppure un classico Vermentino bacca bianca della zona di Bolgheri, con i suoi profumi mediterranei inconfondibili.
Cucina per tutti i gusti e sfumature tanto che anche i vegani possono accedere a questa regione assaporandone le tradizioni dalla Pappa al pomodoro, gustosissimo pane, olio extravergine, aglio e basilico, da provare con una punta di peperoncino, innaffiato con un calice di Vernaccia più morbida; la Ribollita con base di cavolo nero, fagioli, cipolla e carote, una zuppa che veniva fatta riscaldare e “ribollita” per più giorni; oppure la Panzanella, sorta di minestra fredda di pane raffermo toscano e verdure, pomodori, cetrioli, insalata, cipolla rossa, basilico, olio extra vergine, aceto di vino rosso e sale, perfetto per le estate afose e calde mediterranee, menzionato nella letteratura di Boccaccio. I bianchi fermi toscani sono la perfetta combo per questo piatto.
Una cucina da poveri che può stare sulla tavola dei Re, perché questa cucina come anche le origini di questa regione, sono molto antiche, e con la fine della Rivoluzione Francese questa tradizione culinaria affondò le sue radici nella campagna, generando ricette semplici, originali, legate alla stagionalità dei prodotti locali, grazie alla ricchezza del suo territorio e farcite con grande eleganza e sobrietà.