L’isola di Nessuno
Ulisse durante il suo lungo viaggio ritorno dalla guerra di Troia, sbarcò nella cosiddetta Terra dei Ciclopi, ovvero secondo la mitologia raccontata da Omero, proprio la Sicilia ai piedi dell’Etna;
Qui Ulisse e i suoi uomini che esplorarono l’isola, vennero intrappolati nella caverna del Ciclope Polifemo. Il piano di Ulisse iniziò quando Polifemo gli chiese come si chiamava, ed egli rispose
“Nessuno”, offrendogli poi vino locale molto dolce e corposo, in modo da stordirlo ed addormentalo. Polifemo, estasiato dalla bontà del vino, prima di addormentarsi profondamente decise di “graziarlo” “mangiando Nessuno per ultimo”. Come andò a finire lo sappiamo tutti, ma è chiaro che già nell’antichità e nella mitologia il vino dolce dell’isola salvava eroi, addormentava i nemici e regalava meravigliose sensazioni di piacevolezza.
La storia del vino ha origini qui molto antiche, ed è intesa come un patrimonio culturale ed alimentare legato alla vita quotidiana siciliana.
Nella zona del Marsala dei giorni nostri furono ritrovale anfore a Mozia e Lilibeo (oggi Marsala appunto), che risalgono all’epoca dei Fenici: simbolo di produzione, scambi e consumo di prodotti vinicoli.
Feste dionisiache e simposi, rituali e pratiche sociali legate alla vita quotidiana nella Magna Grecia, oggi Sicilia: la cultura ellenica collega il vino al Culto di Dioniso, dio della forza e dell’ebbrezza, dio dell’uva e del vino, dove presso i Latini (Romani) era conosciuto come Bacco.
A Dioniso sono legati miti e leggende di viaggi, amori, marinai e ghirlande di vite, e spesso avveniva nelle coste siciliane del mediterraneo.
(…)“Quando fu scoperto il vino per la prima volta non si era pensato di mischiarlo con l’acqua, per cui il vino era bevuto puro, ma quando alcuni amici, radunatisi, diventarono folli a causa dell’abbondanza del vino bevuto puro, usarono i loro bastoni di legno per colpirsi reciprocamente. Di conseguenza, dal momento che alcuni erano feriti e altri ricevettero ferite mortali nei punti vitali, Dioniso si offese per l’accaduto, e sebbene non prescrivesse di frenarsi dal bere vino puro in abbondanza, proprio perché il bere era frutto del piacere, ordinò loro di portare una verga e non i bastoni di legno”.
Enotria: dalla Magna Grecia ad oggi
Il vino prodotto nell’antica Grecia, era dolce e spesso prodotto da uve appassite, e la loro dolcezza veniva concentrata mediante l’ebollizione del vino che ne riduceva la quantità di acqua. Altri invece erano prodotti da uve particolarmente acerbe mantenendo così una acidità pronunciata. Nell’antica Grecia si usava chiamare questa terra Enotria, ovvero terra del vino, tanto grandi erano le potenzialità di questa terra per la coltivazione della vite.
In questa terra ritroviamo molti prodotti risalenti alla Grecia antica; leader il Nero d’Avola, (che si dice essere stato importato dai greci ed impiantato lungo le coste aride della Sicilia sud-orientale nella zona di Avola fino a Ragusa), e il Cerasuolo di Vittoria che prevede un’ elevata percentuale di Nero d’Avola ed una minore di Frappato: il primo, più rigoroso e strutturato, combinato al Frappato, maggiormente morbido, vellutato, fresco e succoso, regala note penetranti ed indimenticabili.
Risalendo verso l’Etna non possiamo tralasciare la denominazione che si sviluppa intorno al vulcano attivo, che regala vini sapidi ed eleganti sia rossi che bianchi.
Le Uve di questa zona: dal Nerello mascalese a bacca rossa, con caratteristiche organolettiche degne di tener testa a grandi Nebbiolo o Pinot Noir borgognoni, ad il Nerello cappuccio che assemblato al fratello per la denominazione dà origine a rossi eleganti, con note accentuate di frutta rossa, spesso sapidi e dall’acidità marcata;
Fino al Carricante a bacca bianca, che ricorda l’eleganza del Riesling, con profumi più di macchia mediterranea, agrumi sempre con elevate acidità ed infine il Cataratto sempre a bacca bianca, vigoroso e produttivo, con profumi che variano dal gelsomino alle erbe aromatiche, agli agrumi alla frutta bianca, con punte sapide e ammandorlate sul finale.
Spostandoci in provincia di Trapani, ritroviamo nuovamente il Carricante, ma anche Grillo ed Inzolia, che costituiscono le basi per la produzione di Marsala. Questa zona ha una denominazione precisa e definita per la produzione di questo fortificato complesso dalle mille sfaccettature, che può essere prodotto da uve bianche oppure nere, in versione dolce, secca o semisecca, e soprattutto con diversi metodi di affinamento per renderlo un vino davvero complesso ed unico, accostabile a dolci di pasticceria locale oppure formaggi invecchiati.
A Pantelleria i fenici introdussero il Moscato di Alessandria, ovvero l’uva Zibibbo, base del celeberrimo Passito di Pantelleria, tra le tante produzioni di questo vitigno eventualmente anche in versione secco, oltre che dolce.
Perla nera del Mediterraneo, Pantelleria, regala il clima ideale per far appassire le uve Zibibbo, dall’arabo Zebib che significa uva passa: questo vino dolce liquoroso viene prodotto utilizzando la tecnica della vendemmia “scalare”, dove l’appassimento può avvenire direttamente sulla vite oppure lasciando le uve ad essiccare al sole dopo averle raccolte. Si vinifica una parte dell’uva fatta appassire per un tempo più breve, chiamata uva bionda. L’uva rimanente continua ad appassire, fino a raggiungere lo stato di uva malaga; a questo punto viene unita alla prima parte di uva durante la macerazione.
Le sue caratteristiche uniche variano dal dorato all’ambrato con profumi di canditi, miele, e frutta matura a polpa gialla, mentre in bocca è dolce e aromatico;
A cosa lo si abbina? Spesso lo si “medita ed assapora” e poi lo si abbina eventualmente alla pasticceria secca, alla cassata siciliana, ai cannoli con la ricotta, oppure ai panettoni natalizi, o
ancora volendo con qualche formaggio erborinato, speziato e pungente (per bilanciare gli aromi spiccati dell’uno e dell’altro) formaggi tipo pecorino stagionati, o addirittura si potrebbe osare con il Foie Gras francese.
Sulla stessa isola, il Moscato di Pantelleria, prodotto dalle omonime uve Moscato di Alessandria, non riceve l’appassimento, perciò avrà sempre una freschezza aromatica ed una punta agrumata più importante, rispetto al precedente passito,
Sempre per non dimenticare la eccellente produzione di vini dolci dell’isola, c’è a Lipari la Malvasia, un vitigno aromatico, un nettare divino, dove troviamo freschezza e territorialità del vino dolce, abbinati alla frutta come albicocca, fichi, sambuco ed uva passa e macchia mediterranea.
Ritorniamo verso la costa orientale per citare il Moscato di Noto, anche lui importante produzione dolce dell’isola: in questa zona troviamo i pomodori Pachino, piccoli e dolci come ciliegie, ed il moscato bianco o moscatella, uno dei più antichi della Grecia antica, versatile perché produce vini leggeri, liquorosi e corposi oppure spumanti più croccanti.
La versione dolce ha note di miele, agrumi e canditi, ed è facilmente accostabile alle paste di mandorla oppure anche dolci al forno di cioccolato, formaggi o frutta sciroppata.
Per finire con vitigni autoctoni antichi, il Perricone che si sviluppa nella zona Occidentale, ritornato in auge da pochi anni, ha resistito alla fillossera, ed è un vitigno molto antico, nonché base per la produzione di Marsala da uve a bacca rossa. Si vinifica in assemblaggio singolo, ed ha delle note e profumi di marasca e prugna, ma con un ricordo vagamente speziato che lo contraddistingue di ginepro e pepe nero. Per questo si accosta spesso a piatti più corposi, come salumi del territorio e carni alla griglia o arrosto.
Una cucina multiculturale
Posizione strategica, àncora di salvataggio per i navigatori, bagnata sia dal Tirreno che dal Mediterraneo, terreno fertile e mare ricco di pesca.
Molti popoli nei secoli hanno transitato da qui, ha unito culture diverse e lasciato un’eredità culinaria multietnica, influenzata da popolazioni greche, romane, arabe e anche normanne, inserendo diversi elementi nella loro produzione: paste di mandorle dolci, agrumi, riso, e spezie.
Grazie al commercio con Cina ed India furono importate le melanzane, i pomodorini cacao ed il mais.
L’Arancino lo street food per eccellenza, una palla di riso allo zafferano, impanata e fritta condita con piselli, pomodoro o ragù.
La panatura risale si narra alla Corte di Federico II, per trasportare cibi durante i viaggi o durante le battute di caccia, come d’altra parte anche il marsala nacque per mantenere e conservare il vino durante le traversate in nave.
Questo semplice e ricco piatto, all’aperitivo con un bicchiere di Cataratto oppure un calice di
Grillo bianco e fresco, sgrassa e aiuta a renderlo più leggero.
La Caponata, il paradisiaco piatto contorno a base di melanzane, pomodoro, cipolla, olive verdi, capperi, sedano, e basilico, un mix di verdure prima fritte e poi ripassate in padella con zucchero ed aceto, agrodolce. Deriva da “capone” che significa in dialetto lampuga, il pesce pregiato che veniva servito in salsa agrodolce nelle tavole aristocratiche ma che i contadini, non potendosi permettere, lo sostituirono con le melanzane. Succulenta e gustosa abbinabile a rossi poco strutturati, morbidi e con frutta rossa che accompagna l’agrodolce come il Frappato.
La Pasta alla Norma in due diverse varianti, quella trapanese con aggiunta di peperoni e quella catanese con le patate, prevede melanzane, pomodori e ricotta salata grattugiata alla fine. Oppure ancora i Busiati, maccheroncini tipici simili ai bucatini conditi con il pesto trapanese a base di aglio, mandorle, basilico e pomodori.
Entrambi avendo il pomodoro si abbinano facilmente ai bianchi dell’Etna oppure a morbidi rossi succosi.
Il Cous Cous di pesce tipicamente conosciuto come nordafricano, è qui la base di molti piatti della zona di Trapani, condito con il brodo di pesce, chiamato qui “couscoussiera”.
Infine i meravigliosi dolci siciliani, che richiamano i tipici abbinamenti con i passiti, liquorosi, o moscati dell’isola, come il cannolo con la ricotta, la cassata siciliana, e la pasta di mandorle, infinitamente dolci come quelli prodotti in Turchia o in Nordafrica; oppure il croccante involucro del Cannolo, con la morbidezza della crema di ricotta con cioccolato o canditi abbinato ad un passito o un moscato abbinabile anche alla Cassata, preparata con ricotta cioccolato, canditi, marzapane su una base di pan di spagna: un dolce barocco decorato, ricco, corposo, opulento ed estremamente tipico di questa isola colorata.
Un linguaggio ed un patrimonio culinario che spesso richiama l’architettura Barocca siciliana della cattedrale di Noto, o dei quattro canti di Palermo, ricco ampio e teatrale, capace spesso di riflettere la storia sociale dell’isola e la multiculturalità come crocevia mediterraneo di culture, dalla culla della Magna Grecia alla denominazione Araba, dai Normanni e Svevi, agli Angioini e Aragonesi, per finire in mano ai Borboni prima dell’unita d’Italia.
Un patrimonio ricco e denso di storia, cultura, sapori, e mitologia.