(…)”Grappoli di uva nera che danno vino da località fredde”, cosi nel De Rustica trattato di agricoltura più completo dell’antichità, Lucius Ginius Columella descrive il nebbiolo, l’uva storica che già in epoca preromana era diffusa in Piemonte.
Columella ci lascia in eredità pratiche agricole in uso nelle aree mediterranee dell’impero, con un trattato di scienza della coltivazione.
Le prime “vigne di Nibiol” risalgono al 1200 coltivate sulla collina morenica di Rivoli, dove sorge il Castello, e dove Pier de Crescenzi nel suo trattato di agricoltura descrive l’uva come “meravigliosamente vinosa… che teme l’ombra, fa vino ottimo da serbare” citando appunto ottime potenzialità evolutive.
Infine nel 1600 Benedetto Croce cita quest’uva come “regina tra le uve” nonché la preferita dalla nobiltà locale.
Non solo Nebbiolo però, perché l’aristocrazia della regione Sabauda, ovvero della regione connessa direttamente alla storica Savoia che comprendeva le alpi occidentali (di cui una parte della Francia), Piemonte, Valle d’Aosta ed il Nizzardo, coltivava in questa zona uve locali nelle sue tenute, come il Conte Cotti di Neive con la Barbera, Carlo Emanuele III, o Il Marchese Filippo Asinari di San Marzano che investì molto ai primi dell’800 nella produzione di Barbera descrivendolo possedente “una forza singolare congiunta al profumo ed al colore dei vini più vecchi e celebrati”.
Camillo Benso, durante la sua presenza al castello di Grinzane, lavorando con Francesco Staglieno, enologo, trovarono il modo di modernizzare le tecniche di coltivazione e produzione nelle tenute in suo possedimento, trasformando il Nebbiolo da vino dolce e frizzante a vino da invecchiamento in grado di competere con in vini del Bordeaux.
Infine arriviamo ai giorni più recenti facendo parlare gli ultimi eredi delle più ricche e potenti dinastie del regno che producevano il Nebbiolo che conosciamo come il “nobil vino” di oggi, I marchesi di Barolo Tancredi Falletti e Juliette Colbert, che hanno posto le basi del futuro dei grandi vini del territorio Piemontese attraverso i legami con l’aristocrazia europea, assumendo un ruolo fondamentale da ambasciatori del territorio e facendo conoscere all’estero le loro produzioni di eccellenza.
I vini dei re
Tenute di piccole proprietà che ricordano i piccoli appezzamenti di Borgogna, cantine create da dinastie nobiliari, antiche varietà mai dimenticate, e scuole enologiche create “…per emancipar li contadini da secolare empirismo” tra le più antiche d’Italia per la ricerca scientifica, ed istruzione in campo viticolo ed enologico; così il Piemonte conserva vitigni antichi, resistenti, longevi ed autoctoni legati alla tradizione nobiliare del nostro paese.
Tra i vitigni antichi, oltre ai classici rossi conosciuti e degni di essere citati e raccontati, come Dolcetto, Barbera, Pelaverga e Nebbiolo abbiamo bianchi di tutto rispetto come Arneis, Cortese, Moscato, Timorasso, Erbaluce e Nasc-etta, tutti autoctoni, con risultati qualitativi eccellenti e potenzialità evolutive.
I bianchi piemontesi non sono in prima linea nella classifica dei vitigni sabaudi, ma tra i singoli produttori delle Langhe ci sono alcuni che riscoprono il vitigno più tipico ed autoctono di Novello, la Nascetta, il bianco piemontese relegato per anni a pochi filari, e quasi estinto, salvato dall’abbandono.
Questo vitigno riscoperto, venne definito dall’ampelografo Giuseppe dei Conti di Rovasendalo “un’uva delicatissima e squisita”, difficile da coltivare, ma aromatico, dai colori brillanti, dalla croccante acidità, e dai sentori sapidi e che ricordano le erbe aromatiche di salvia e rosmarino, che volendo si presta ad appassimento e può resistere nel tempo.
Grazie a questo produttore ed alle svariate sperimentazioni, nei primi anni 2000 rientra finalmente nella Denominazione Langhe bianco generico ed infine Langhe Nascetta, la cui produzione è ad oggi solo autorizzata nel comune di Novello. Versatile, adattabile a diverse vinificazioni, tra cui acciaio, o legno, territoriale con una firma indelebile del suo contesto da cui proviene, le Langhe.
Il bianco piemontese autoctono originario dei colli Tortonesi è il Timorasso, dove trova il suo habitat naturale tra le colline della val Borbera e le vallate Curone, Grue, ed Ossona, con terreni argillosi ed una componente calcarea più o meno marcata a seconda di dove ci troviamo: nella zona più a nord vicino a Tortona, Antica Derthona in latino, la componente argillosa è più marcata, dando origine a vini corposi e strutturati, mentre nella zona più a sud della denominazione nelle terre di Limbara la componente calcarea è più evidenziata, dando origine ad eleganza, verticalità, e raffinatezza nei profumi.
Lo chiamano il “Barolo bianco” dalla raffinatezza del Riesling Renano e dalla corposità del Viognier del Rodano, prediligendo sole e riparo dal vento, molto sensibile a muffe e marciumi, regalando acidità, struttura e frutta a polpa gialla, grande sapidità e note di idrocarburi marcate in invecchiamento.
Il Moscato è l’altro grande bianco che si è sviluppato nell’astigiano, dall’inconfondibile profilo aromatico, producendo due tipologie distinte di vino Asti Spumante e Moscato d’Asti, entrambi parte della gloriosa denominazione di origine controllata e garantita, la cui origine orientale si deve al ritorno dei cavalieri dalle crociate, e che oggi ci regala l’Asti spumante prodotto da uve moscato.
Siamo nella collina di Cannelli con suoli in marna bianca, Asti dolce e spumante vino con tappatura capsula e gabbietta, e residuo zuccherino minore rispetto al Moscato d’asti che invece si definisce frizzante e con residuo zuccherino maggiore.
Nell’ Asti Spumante la presa di spuma avviene con il metodo classico in bottiglia come fece Carlo Gancia, oppure in autoclave: ampi profumi di fiori, agrumi e acacia che ricordano dolci note quasi di miele.
“Il vino dei Re ed il Re dei vini” o anche “Pugno di Ferro e Guanto di Velluto”, il Nebbiolo l’uva nobile tanto studiata, elogiata, resa incredibilmente longeva nelle denominazioni di eccellenza di Barolo e Barbaresco;
“quasi amabile come il morbido Madeira, secco al palato come il Bordeaux e vivace come lo Champagne “…
Questo vitigno grazie ha delle caratteristiche uniche, come l’elevata tannicità e acidità delle uve,
la poca presenza di antociani sulle bucce che determinano solitamente la profondità nei colori, ed infine l’ampio bouquet floreale, frutti di bosco e timbro balsamico, che a seconda di come viene vinificato cambia intensità varietali e sfumature, se acciaio, legno, cemento, o in alcuni casi spumante metodo classico, eccellente esempio di produzione nella zona di Gattinara.
Molto produttiva, colorata, acida e corposa la Barbera, nelle sue molteplici declinazioni regionali, mentre risultato enologico dal finale a mandorlato è il Dolcetto sviluppato soprattutto nella zona di Dogliani.
Infine, la Pelaverga, vitigno anche lui dalle caratteristiche varietali marcate fumé’, sottobosco, dalla spiccata acidità, ritrovato e riportato in auge nella zona soprattutto del Castello di Verduno; è un vitigno a bacca rossa minore del Piemonte ma come la Nascetta dalla grande eleganza e buona potenzialità.
Un nobile panorama di vini sia bianchi che rossi come risultato di ricerche, riscoperte, e aree vitivinicole in cui il connubio tra terreno, vitigno, e clima, assume rilevanza nella definizione dei caratteri organolettici del vino.
Trattati di-vini (e) di cucina
Anche la cucina di questa regione è stata trattata in maniera singolare al punto da scrivere libri e manoscritti come punto di riferimento per la cucina piemontese anche dei nostri giorni.
“Il cuoco piemontese perfezionato a Parigi” e “la cucina sana economica ed elegante secondo le stagioni”, sono due punti di riferimento per la cucina regionale, dei veri e propri manuali della gastronomia di questa regione.
Questa cucina ha sempre vissuto un dualismo tra le raffinatezze della corte sabauda e la tradizione culinaria più contadina, e dall’unione di questi due mondi nascono preparazioni complesse, elaborate, ma anche succulente e sostanziose.
Tra gli antipasti più rinomati il Vitello tonnato si trova al primo posto, tradizionale del Cuneese, uno specifico taglio di carne ovvero il girello di fassone prima marinato nel vino bianco con vari sapori (sedano, carota, cipolla, alloro) e poi lessato in acqua intriso della sua marinatura, tagliato sottile e servito “conciato”.
Tra i vini facilmente accostabili troviamo in testa i bianchi un po’ strutturati ma con buona acidità per sgrassare la parte ricca di salsa, come Timorasso con il suo corpo robusto, acidità e sapidità accompagna ed esalta i sapori, oppure eventualmente la Nascetta grazie all’acidità ed agli aromi di erbe mediterranee tipicamente varietali.
I primi piemontesi sono corposi, e spesso la carne è alla base di questa cucina, come gli Agnolotti del Plin, ravioli rettangolari di piccole dimensioni farciti con carne arrosto, tipici della zona del Monferrato e delle Langhe, spesso serviti con burro, salvia e parmigiano. Come primo piatto vengono spesso abbinati ad un rosso leggero come la Pelaverga oppure un Nebbiolo del Roero molto ampio e profumato oppure della zona di Alba, tutti senza aver fatto prolungati affinamenti in legno.
Se si predilige invece la succosità della Barbera, si può accostare anch’essa ma evitando una che faccia passaggi in legno.
Tajarin al tartufo e Risotto al Barolo sono altri due “must” della zona, come anche i condimenti di pasta all’uovo con Salsiccia di Bra, tutti primi corposi profumati e che necessitano di accostamenti importanti come un Barbaresco oppure un Barbera invecchiato e strutturato come il Nizza.
I secondi noti sono i bolliti misti piemontesi delle carni e verdure tipiche, il tutto servito e condito con svariate salse una delle quali è la salsa verde chiamato “bagnet vert” a base di prezzemolo aglio e acciughe; la Bagna Cauda che fa da piatto completo, è un piatto conviviale della tradizione, una salsa che si serve bollente in stile “foundou bourguignonne”, in cui si intingono verdure crude come cardi, peperoni, topinambur, ravanelli e verza ed altre verdure lesse come patate e rape.
La base di questa corposa salsa è aglio, olio e acciughe, e va servita calda.
Quest’ultimo piatto va rigorosamente abbinato alla Barbera d’Asti complesso con un frutto corposo e speziato, mentre i bolliti misti spesso si suggerisce la Barbera ma più quella della zona di Alba, più fine ed elegante che non sovrasta i sapori delle carni delicate.
Nelle carte e menu piemontesi non potete evitare di imbattere nel tipico budino a base di cacao e amaretti chiamato Bonet, dove essendoci una base di cioccolato si potrebbe accompagnare con un bicchiere di Barolo chinato, vino corposo da dolce, speziato ed aromatizzato arricchito con corteccia di china, radice di rabarbaro e genziana (seme di cardamomo ad estrazione lenta).
Infine la torta di nocciole piemontesi (perché in questa zona oltre che vigne a perdita d’occhio troviamo anche noccioleti di altissima qualità), spesso accompagnata con il Moscato Dolce o Passito della zona, per aiutare il boccone nocciolato di pasticceria profumata a scendere delicatamente creando il connubio perfetto di fine pasto.
E come l’antico castello di forme slanciate e compatte, massiccio eppure armonico, austero ed elegantissimo, dall’architettura, alla storia, all’agricoltura fino alla cucina locale: corposa, soave, rigorosa, e raffinata sono tutti elementi in armonia come perfetto risultato della tradizione nobile combinata a quella più agricola e semplice di questa regione vocata del nord Italia.